L’ordinanza del Tribunale di Roma in esito a ricorso ex art. 700 C.P.C. promosso da CasaPound Italia nei confronti di Facebook è di grande interesse per vari motivi processuali e sostanziali: quanto ai primi si rileva ancora una volta il ruolo di strumento processuale costituzionalmente orientato della tutela cautelare atipica, nel secondo dopoguerra divenuta in svariate occasioni il mezzo attraverso il quale garantire in maniera sostanziale il rispetto della Costituzione come fonte del diritto immediatamente precettiva nei rapporti giuridici intersoggettivi. Interessante notare anche l’utilizzo della penalità di mora.
Quanto al merito è interessante evidenziare che inizi a comparire nei nostri tribunali il problema della torsione degli assetti dominicali che l’avvento di internet ha introdotto: in altri termini si può evocare la categoria dei limiti esterni del diritto di proprietà ma non più da parte della sfera pubblica quanto da parte di operatori privati. Abbiamo impiegato tre secoli almeno per capire come il pubblico potere possa limitare qualcosa di ‘nostro’ e ora, in meno di tre lustri, dovremo capire se e come un privato possa fare altrettanto.
In effetti nel mondo di internet la proprietà privata non esiste (curiosa eterogenesi dei fini…), semmai si può parlare di uso univoco: sia esso per un account, un dominio, un profilo, un servizio…Il problema che dunque si pone è quello di tutelare tale valore, anche economico (si pensi a una pagina social con migliaia di iscritti), basti solo pensare al danno che si creerebbe a un operatore economico con un blocco di un servizio di posta elettronica gestito attraverso un provider gratuito, gmail senza fare nomi.
Non si tratta solo di una tutela della libertà di espressione e di organizzazione politica, come in questo caso, ma appunto anche tutela dell’avviamento di impresa e della libertà individuale. Dedotte queste questioni teoriche, comunque, c’è un rilevantissimo risvolto pratico in questa pronuncia l’idea cioè che debba esserci un riequilibrio ortopedico nelle posizioni fra provider dei servizi e fruitori, pena la compressione di fondamentalissimi diritti civili e sociali, ma anche il fatto che le condizioni d’uso del servizio non possano più essere considerate come un rapporto giuridico unilateralmente predisposto e confezionato, una vera e propria lex privata.
Tre sono le sfere giuridiche da contemperare: il provider, il titolare del diritto di uso univoco e il fruitore del servizio, difatti anche l’ultimo anello è portatore di interessi autonomi e meritevoli di tutela, si pensi nel caso in esame a un aderente al movimento politico di conoscere gli sviluppi dell’organizzazione.
La natura del rapporto giuridico è, quindi, trilaterale nei suoi tratti sostanziali.
In altri termini si declina la libertà di espressione nei suoi tratti sostanziali, cioè non sono ‘poter dire’ qualcosa quanto nell’accezione di ‘poter farlo sapere’.
Sono da tempo convinto che forse la più rilevante frontiera del diritto delle nuove tecnologie sarà la negoziazione delle condizioni d’uso fra provider di servizi in rete e utilizzatori, specie se dotati di una certa massa critica. D’altro canto, esauritasi la spinta propulsiva successiva al loro apparire sul proscenio, i giganti del web dovranno rendersi conto che la continuità nella creazione del loro valore potrà essere garantita solo dal continuo afflusso di contenuti fornito dalle collettività che ne fanno uso, che quindi dovranno vedere in qualche modo tutelate le loro posizioni giuridiche soggettive.
*Un intervento maggiormente esteso su questi temi è previsto in uscita a gennaio 2020 in Indipendenza